
La settimana scorsa hai parlato del “malefizio”, il termine che usi nel libro per riferirti alla malattia.
Come mai hai scelto questa metafora, rifacendoti al mondo delle favole?
Le favole contengono verità universali che valgono in ogni tempo e in ogni luogo. Credo che le favole
siano la più antica metafora della vita, il modo più semplice e immediato di rappresentare sentimenti e
stati d’animo. Il “malefizio” è l’espressione dell’impotenza umana, in particolare dell’inibizione della
libertà e della volontà di scegliere. L’Alzheimer “imprigiona” la facoltà di pensare, e per lungo tempo,
purtroppo, lascia la consapevolezza di ciò che sta accadendo, ferendoci nei sentimenti.
Si può ricollegare al fatto che in diversi punti abbia richiamato l’infanzia?
Ho la fortuna di avere ottimi ricordi della mia infanzia. Ma il richiamo alle favole o al mito di Prometeo,
per esempio, dipendono dal fatto che sono appassionata di letteratura e più passano gli anni, più mi
rendo conto che molto di quello che noi cerchiamo di esprimere “con parole nuove” è già stato detto e
scritto “con altrettante parole nuove” secoli fa.
I nostri sentimenti spesso ci sembrano unici, le nostre paure insormontabili, la nostra sofferenza
assoluta ed esclusiva. Ma non ci vuole molto ad accorgersi, che qualcun altro ha già sofferto e gioito
prima di noi. E magari ci può illuminare.
Credi che avvenga una sorta di inversione di ruoli tra genitori e figli?
Il punto è: chi si prende cura di chi. Questo è quello che fa pendere un rapporto da una parte o dall’altra.
Se pensiamo a chi accudisce, a chi guida, è chiaro che un figlio o una figlia che si devono occupare di un
genitore in tutto e per tutto, che devono decidere per lui, sembrano rappresentare un’ inversione di
ruoli. E per larga parte è vero. Tuttavia resta una sottile, innegabile differenza. Loro ci hanno dato la vita,
noi stiamo soltanto prendendoci cura della loro. Per spiegare meglio cosa intendo, ti faccio un esempio.
Ero accanto a mia madre, purtroppo ormai anche lei colpita da demenza, non parla più e pare non
riconoscermi. Stava mangiando, ma a un certo punto si è fermata e ha messo una cucchiaiata di cibo sul
tovagliolo bianco (scambiato per un altro piatto), invitandomi a gesti a mangiare. E io ho pensato che
una madre non abdica mai.
Novembre 10 2015
Prima di volare – Parte 6
La settimana scorsa hai parlato del “malefizio”, il termine che usi nel libro per riferirti alla malattia.
Come mai hai scelto questa metafora, rifacendoti al mondo delle favole?
Le favole contengono verità universali che valgono in ogni tempo e in ogni luogo. Credo che le favole
siano la più antica metafora della vita, il modo più semplice e immediato di rappresentare sentimenti e
stati d’animo. Il “malefizio” è l’espressione dell’impotenza umana, in particolare dell’inibizione della
libertà e della volontà di scegliere. L’Alzheimer “imprigiona” la facoltà di pensare, e per lungo tempo,
purtroppo, lascia la consapevolezza di ciò che sta accadendo, ferendoci nei sentimenti.
Si può ricollegare al fatto che in diversi punti abbia richiamato l’infanzia?
Ho la fortuna di avere ottimi ricordi della mia infanzia. Ma il richiamo alle favole o al mito di Prometeo,
per esempio, dipendono dal fatto che sono appassionata di letteratura e più passano gli anni, più mi
rendo conto che molto di quello che noi cerchiamo di esprimere “con parole nuove” è già stato detto e
scritto “con altrettante parole nuove” secoli fa.
I nostri sentimenti spesso ci sembrano unici, le nostre paure insormontabili, la nostra sofferenza
assoluta ed esclusiva. Ma non ci vuole molto ad accorgersi, che qualcun altro ha già sofferto e gioito
prima di noi. E magari ci può illuminare.
Credi che avvenga una sorta di inversione di ruoli tra genitori e figli?
Il punto è: chi si prende cura di chi. Questo è quello che fa pendere un rapporto da una parte o dall’altra.
Se pensiamo a chi accudisce, a chi guida, è chiaro che un figlio o una figlia che si devono occupare di un
genitore in tutto e per tutto, che devono decidere per lui, sembrano rappresentare un’ inversione di
ruoli. E per larga parte è vero. Tuttavia resta una sottile, innegabile differenza. Loro ci hanno dato la vita,
noi stiamo soltanto prendendoci cura della loro. Per spiegare meglio cosa intendo, ti faccio un esempio.
Ero accanto a mia madre, purtroppo ormai anche lei colpita da demenza, non parla più e pare non
riconoscermi. Stava mangiando, ma a un certo punto si è fermata e ha messo una cucchiaiata di cibo sul
tovagliolo bianco (scambiato per un altro piatto), invitandomi a gesti a mangiare. E io ho pensato che
una madre non abdica mai.
By Marco Prati • Sense categoria